La nostra comunicazione negli affetti, nel lavoro, risulta spesso poco soddisfacente e talvolta produce negli altri effetti diversi da quelli che vogliamo; capita che il nostro interlocutore non colga appieno quello che era il senso della nostra comunicazione, del nostro messaggio, di ciò che ci premeva esprimere. Ed ecco che nascono i malintesi, i fraintendimenti: “Perché non hai fatto come ti avevo chiesto!, “Non capisci quando parlo!”, “È colpa tua, sei distratto e non ascolti”. Come mai, quando parlo ho la sensazione che gli altri non mi capiscano? Perché ottengo risultati diversi dalle mie intenzioni.

Possiamo affermare allora, senza ombra di dubbio, che tutti possono comunicare, ma non tutti sanno farsi comprendere.

La nostra mente trattiene solo le informazioni che ritiene rilevanti e cancella quanto non ci interessa; fino a che il processo rimane inconscio si corre il rischio di cadere nell’illusione di comprendere a fondo una situazione di cui abbiamo in realtà solo una visione parziale. Infatti la rilevanza delle informazioni è soggettiva ed è valutata sulla base di filtri percettivi che possediamo. La nostra percezione filtra le informazioni attraverso convinzioni, che si formano nella nostra storia personale e possono agire da muro nei confronti di tutto ciò che è nuovo.

Poi ci sono i valori, una categoria speciale di convinzioni potenti e individuali relative al perché qualcosa sia ritenuto importante e degno di massima attenzione.

In pratica: il nostro modo di relazionarci attraverso il pensare, comunicare ed agire è contraddistinto dai nostri processi di pensiero che sono automatici e inconsci, così quando ci rapportiamo ad altri per comunicare:

  • cerchiamo i dati che confermino le nostre ipotesi e scartiamo quelli che le negano;
  • tendiamo a voler far prevalere il nostro punto di vista piuttosto che capire quello altrui;
  • tendiamo a dare giudizi di valore, approvare o disapprovare ogni dichiarazione;

Tutti questi comportamenti automatici di cui abbiamo poca consapevolezza influenzano la nostra riflessione. Il primo passo allora è imparare a prestare attenzione a noi stessi e imparare ad  ascoltare veramente gli altri. Ascoltando attentamente il linguaggio di una persona, è possibile definire il modo attraverso cui ha costruito il pensiero, la sua idea di realtà e capire meglio il suo comportamento e ciò che desidera esprimere.

Ascoltare significa uscire temporaneamente dai propri schemi, dalla propria mappa del mondo ed esplorare lo spazio di un’altra persona, significa allargare i propri orizzonti.

Prendere in considerazione l’idea di modificare o ridisegnare i propri obiettivi, confini,  acquisendo la consapevolezza di una nuova visione comune.

Nessuno dice che sia semplice, né così immediato: presuppone nuovi adattamenti, nuovi comportamenti da apprendere, con impegno e fatica, talvolta anche noia. La comunicazione, o meglio la buona comunicazione, implica uno sforzo; si deve stare vicini ma mai sopraffare o soffocare gli altri; si deve dar spazio alla propria voce e contemporaneamente prestare attenzione a ciò che anche l’altro ha da dire, perché altrettanto importante.

Comunicare  con l’altro significa  dare  sostanza  alla  relazione.

Attenzione però, non dimentichiamo che la prima relazione importante è quella che abbiamo con noi stessi!

Assumerci la responsabilità dei nostri stati emotivi, dei nostri pensieri, delle nostre parole e soprattutto ascoltarli dentro di noi traendo forza dalla conoscenza di se stessi, porta a entrare nel gioco comunicativo anche con gli altri. Da questo incontro si può riuscire a identificare una nuova prospettiva in cui non siamo più soli, bensì parte di un insieme, in un dialogo, in uno spazio di domanda e di ascolto, di accoglienza e confronto che arricchisce in prima istanza noi e l’altro diverso da noi. Avere coscienza di tale percorso facilita la sintonia, il linguaggio comune e l’empatia.